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Le suore del Cottolengo sono presenti a Conflenti da quasi un secolo, da quando, a seguito di un lascito della famiglia Maio, vennero chiamate nella nostra comunità per occuparsi del Santuario e istituire l’asilo per i bambini.
Da allora, la Casa delle suore ha costituito un riferimento educativo fondamentale, il lievito di azioni pedagogiche essenziali alla crescita umana, sociale e religiosa.
Hanno visto nascite e morti, hanno assistito a battesimi e lutti, hanno condiviso gioie e dolori di tutti e, nel periodo bellico e nel dopoguerra, hanno contribuito in modo determinante al miglioramento delle condizioni socio culturali dei conflentesi.
Se, da un canto, Conflenti ha inglobato nel proprio tessuto le Suore come sue figlie naturali, dall’altro le stesse vi si sono innestate amorevolmente da “sorelle”.

Quotidianamente, alla preghiera hanno alternato la laboriosità, secondo la tipica tradizione monastica: un tempo per pregare, uno per dialogare, uno per cooperare.
Le suore, pur tra continui avvicendamenti, hanno sempre garantito con pazienza, umiltà e tanto amore la cura del Santuario, contribuito alla crescita umana delle ragazze che si sono avvicendate nella loro scuola di ricamo, a quella dei bambini che hanno frequentato l’asilo ma allo stesso tempo hanno fatto sentire forte, seppur in maniera discreta, la loro presenza all’interno della comunità. Grazie a essa, noi conflentesi ci siamo sempre sentiti, fra tutti i paesi del circondario, dei privilegiati.

L’asilo delle monache del Cottolengo fu istituito con l’arrivo delle suore, direttamente dalla casa madre di Torino, negli anni ‘30.
Il nostro comune fu il primo ad averne uno nel circondario e le nostre madri le prime ad usufruire di un servizio simile, con un posto sicuro dove lasciare i figli, con la tranquillità di potersi dedicare senza preoccupazioni al loro lavoro.
L’asilo delle monache radunava tutti i bambini di Conflenti, che intorno agli anni ‘50 contava quasi 5.000 abitanti, e dunque straripava di bambini, oltre 50 per classe. Tante generazioni ricordano con nostalgia quei tre anni di asilo, il riposino pomeridiano sulle brandine, il gioco dell’oca sul terrazzo, la segatura di Mastru Cicciu o Mastru Lorenzu e Mastru Ernestu sparsa nel corridoio per asciugare l’acqua nei giorni di pioggia. E anche, perché no, le sculacciate quando i bambini facevano i birbanti.

Il laboratorio di ricamo 

Fino agli anni ‘60 erano poche le ragazze che continuavano gli studi dopo le elementari. I genitori ritenevano le città piene di tentazioni, quindi le tenevano in paese sotto stretta sorveglianza.

Naturalmente, considerati gli impegni lavorativi, non potevano essere sempre presenti e allora le mandavano dalle suore, dove imparavano l’arte del ricamo e le regole del vivere civile.
Vi si andava quasi tutto l’anno, dalle nove del mattino fino alle quattro e mezza di pomeriggio, con un intervallo dalle dodici alle due per poter rientrare a casa e mangiare. Si pagava per poter frequentare, dapprima trecento poi cinquecento e infine mille lire. Una suora si dedicava completamente alle ragazze.
O
ltre al ricamo, che permetteva loro di preparare il corredo per sposarsi, si leggevano libri religiosi e si partecipava alle prove per i cori delle messe domenicali.
Inoltre, ci si divertiva tanto organizzando delle gite nei dintorni e qualche volta persino più lontano.

Le giovani più brave e particolarmente dotate per questo tipo di lavoro, una volta realizzato ciascuna il proprio corredo, lavoravano per terzi, su ordinazione. Le richieste erano numerose e per lungo tempo questa attività che, dopo il laboratorio si continuava a casa, ha rappresentato una buona fonte di reddito.