I mestieri di una volta: tanti, strani e comunque diversi

In questo viaggio nel tempo che vi stiamo proponendo abbiamo cercato di parlarvi dei principali mestieri che facevano i nostri nonni, alcuni di essi si sono tramandati fino ai nostri giorni, altri sono cambiati molto e altri ancora non esistono più.
Per capirli di più è necessario focalizzare il contesto generale degli anni passati, Conflenti superava i quattromila abitanti ed era difficilmente accessibile, arroccato ai piedi del Reventino con poche strade d’accesso e per di più poco agevoli.
Questo per forza di cose comportava la ricerca di una autosufficienza pressoché totale dal resto del mondo.
A questo bisogna aggiungere, per una migliore comprensione della questione, un secondo fattore fondamentale, e cioè che i mestieri che andavano per la maggiore erano sicuramente quelli più legati o comunque collegati a quelle che erano le produzioni tipiche di Conflenti.
Solo così possiamo spiegare la grande diffusione e il livello di eccellenza raggiunto da alcune lavorazioni, si pensi per es a barilai e cestai, la cui produzione di manufatti era molto richiesta considerato che la produzione di olio e vino era quella più diffusa e nelle case inoltre non c’era acqua corrente e bisognava portarla. Alla produzione di uva e vino era inoltre legato un altro mestiere che ha fatto le fortune di molti conflentesi nei tempi passati, quello del commercio del vino.

 Lo stesso discorso vale per le tessitrici e per tutte le donne che si dedicavano al ricamo, anche loro direttamente legate alla enorme attività di bachicoltura e alla ginestra che era diffusissima nei nostri campi.
Analogo ragionamento vale per la produzione di dolci tipici dei nostri mastazzulari dove finiva gran parte della enorme produzione di miele che facevano i nostri melari, o per l’arte dei mastri cerai, sempre legata all’apicoltura.
Queste produzioni avevano raggiunto un tale livello di eccellenza che non temevano il confronto di altre produzioni simili, e malgrado le difficoltà degli spostamenti, erano conosciute e venivano vendute, rompendo il nostro isolamento cronico, in molti mercati della Calabria.
Oltre a questi mestieri, particolarmente legati alle nostre produzioni agricole, ne esistevano altri un po’ più comuni, ma che comunque erano svolti in un modo molto diverso da come si potrebbe immaginare oggi.  Fravicaturi (muratori),custulieri  (sarti), mastri d’ascia (falegnami), varviari (barbieri), forgiari (fabbri) , chiancari (macellai) quadarari (stagnini), scarpari (ciabattini), riuggiari (orologiai) . 

Tutti erano completamente privi di macchine e utensili meccanici o elettrici di qualsiasi genere, avevano quindi una manualità eccezionale e inoltre operavano in spazi ridottissimi, laboratori molto angusti, spesso autentici catuaji.
Ma esistevano altre “occupazioni” che possiamo definire molto fantasiose e che comunque permettevano di vivere; è il caso del merciarualu che andava in giro per il paese con una cassetta legata al collo a vendere aghi, jiritali , spolette, spingule, pettini, pettinisse e forbici, de l’umbriddraru che vendeva e riparava ombrelli, o u seggiaru, che, ambulante girava per le vie del paese e fermandosi in ogni “ruga” aggiustava le sedie spagliate, i nivari che d’inverno sotterravano la neve in grosse buche sul Reventino e poi d’estate vendevano il ghiaccio che si era conservato,  i lattari che vendevano ogni giorno  in giro per il paese il latte fresco prodotto dai loro animali e i capiddrari che andavano in giro a comprare ciocche di capelli da rivendere per fare poi le parrucche.

Che tempi, quei tempi e quanta fantasia per vivere.

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