Quello del quadararu è uno di quei lavori ormai scomparsi che facilmente ci riportano alla mente il mondo degli antichi mestieri. Mestieri che col tempo sono scomparsi ma che ci ricordano un passato fatto di grandi sacrifici eppure carico di valori e speranze.

U quadararu

U quadararu era sempre unto di nero, come il suo viso e i suoi vestiti. Anche la forgia solitamente era un piccolo locale nero, pieno di fuliggine e maleodorante di acido muriatico. Ma lui era un’artista! Un’artista nel riparare gli oggetti di rame o a crearne dei nuovi. Se una quadara si sfondava o si ammaccava in più punti per l’usura, lui la rimetteva a nuovo; se era rotta e ci voleva una pezza, che ricavava da una vecchia pentola non più utilizzata, l’applicava esternamente con dei chiodini di rame. Invece, se doveva mettere a nuovo l’interno della pentola, rendeva prima liscia, lucente e uniforme la superficie e poi stendeva dello stagno strofinando con una matassa di canapa fino a quando il lavoro non era eseguito alla perfezione.

Gigino Pasqua

U quadararu a Conflenti

Nel nostro paese, in cui è molto viva la tradizione dei soprannomi, è ancora possibile rinvenire nomignoli legati proprio a questa professione. Uno dei più rinomati quadarari era Giosuè Pasqua detto Franciscu u quadararu. Originario di Grimaldi, arrivò a Conflenti dove svolse dapprima l’attività di venditore di rame e successivamente si dedicò alla professione de quadararu. La sua bottega si trovava nei pressi del bar centrale. Era composta da due locali, in uno vendeva le sue creazioni e nell’altro effettuava i lavori.
Nella bottega, con le mani incallite, insegnò questo mestiere a due dei suoi figli: Lissandro e Gigino.
Insegnò loro a riparare e a creare caldaie, pentole, tegami, bracieri e tutto l’occorrente per la cucina. Con una cesoia ritagliava le lamiere, le piegava, le modellava sul fuoco con il solo uso del martello e, infine, le saldava. Negli ultimi tempi, la loro maestria era molto ricercata per la costruzione di recipienti per l’olio: le giarre!

Alessandro Pasqua

Era Mastru Franciscu ad organizzare il lavoro e i figli lo seguivano in tutto. Si spostavano di paese in paese offrendo i loro “servigi”; si recavano a piedi nelle fiere del circondario per vendere i loro prodotti. Una vita difficile, fatta di sacrifici e di duro lavoro che li teneva lontani da casa e dalla famiglia ma che permetteva loro di avere il necessario per vivere una vita dignitosa. Alla sua morte, i due fratelli continuarono a lavorare insieme per po’ di tempo ma poi decisero di dividersi. Lissandro continuò a lavorare nella bottega del padre mentre Gigino ne aprì una nuova in via Marconi, in un locale di Arnoldo il macellaio, e vi rimase fino a fine anni ’70. Purtroppo, nessuno dei nipoti, sia per l’emigrazione sia per l’avvento della tecnologia, ha continuato a svolgere questo mestiere e a mantenere viva la tradizione.

I quadarari ambulanti

Dopo Giginu e Lissandru, a Conflenti iniziarono ad arrivare i quadarari ambulanti. Richiamavano l’attenzione delle donne urlando a squarciagola: “U quadaraaru! È arrivatu u quadararu!” Un urlo inconfondibile risuonava per le vie del paese, al quale le donne si precipitavano sull’uscio di casa e consegnavano nelle loro mani pentole, caldaie e altri utensili in rame che avevano bisogno di essere riparati. Questi artigiani avevano però la fama di essere abbastanza sfortunati perché tutte le volte che arrivavano pioveva o nevicava e il loro lavoro, sempre all’aperto, diventava più faticoso. Ecco da dove arriva il modo di dire “tiani a fhurtuna du quadararu” volendo così indicare una persona sfortunata. A lavoro finito, si spostavano in un’altra via nella speranza di portare a casa, a fine giornata, un cospicuo guadagno.

Il dr. Francesco Isabella è il primo di tre fratelli di una famiglia di contadini. Nato a Conflenti il 26 luglio 1923, ha vissuto tutta la sua infanzia a San Mazzeo assieme ai fratelli Giuseppe e Paolo e all’adorata sorella adottiva Maria.

Sin dall’età scolare ha manifestato la sua passione per le scienze giuridiche e, una volta conseguito il diploma di maturità classica, si è iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma ove nel 1945 ha conseguito la laurea con il massimo dei voti. Per qualche anno ha esercitato la professione legale, prima di vincere il concorso in magistratura.
Nell’anno 1958 si è sposato con Maria Giuseppina Le Piane, da cui ha avuto tre figli, Carlo (avvocato), Antonella (insegnante) e Dolores Maria (psicologa).

E’ stato Pretore a Campana e a Taverna, prima essere nominato Giudice Istruttore presso il Tribunale di Nicastro. Ben presto si è guadagnato la stima di tutto ambiente giudiziario, grazie alla sua saggezza e alla sua lungimiranza, ma soprattutto per la sue qualità umane e morali.

Nei primi anni ’80 è stato nominato Consigliere presso la Corte d’Appello di Catanzaro e ha presieduto la Corte d’Assise d’Appello del Capoluogo in numerosi processi contro la criminalità organizzata, facendosi apprezzare per il grande equilibrio sempre palesato nell’esercizio delle sue funzioni giurisdizionali. Ha concluso la sua carriera di magistrato quale Procuratore Capo Presso il Tribunale dei Minori del capoluogo.

E’ stato anche Presidente della Commissione Tributaria di Lamezia Terme e, una volta in pensione, sul finire degli anni ’90 è stato nominato Garante del Contribuente per la Regione Calabria.
E’ stato uno dei fondatori, assieme a Mons. Natale Colafati, a Mons. Pasquale Luzzo, ai Notai Fortunato Galati, Gennaro Anania e Rosaria Agapito, della Fondazione Antiusura intitolata a Monsignor Vittorio Moietta, nata per aiutare e dare assistenza agli imprenditori e, in genere, ai cittadini in obiettive difficoltà economiche.

Nonostante le cariche ricoperte nel corso della sua carriera di magistrato, non ha mai snobbato le sue umili origini contadine e non ha mai smesso di coltivare, seppur nei ritagli di tempo, il suo amore per la terra e per la campagna, recandosi quasi tutti i weekend presso la sua casetta colonica sita nella Contrada Coscaro di San Mazzeo per curare con premura il suo orticello montano e il frutteto che lui stesso aveva messo a dimora, grazie alle antiche arti dell’innesto e della potatura di cui era un grande maestro.
E’ stato un fraterno amico dell’Avvocato Generale dello Stato Dr. Francesco Ferlaino, vittima della ‘ndrangheta nel 1975, con cui ha condiviso la grande passione per le poesie in vernacolo di Vittorio Butera e che amava recitare in occasione di ogni rimpatriata tra parenti e amici.
E’ volato in cielo il 19 settembre 2010, all’età di 87 anni; ma il Suo ricordo e i Suoi insegnamenti restano indelebili tra tutti coloro che lo hanno conosciuto.

 

 

 

Conflenti è un suggestivo comune calabrese in provincia di Catanzaro di circa 1400 abitanti, con un’estensione territoriale di quasi 30 kmq.
Il centro storico, adagiato su una collina e circondato da una natura incontaminata, è costituito da due nuclei: Conflenti Superiore (o Soprani) e Conflenti Inferiore (o Sottani).

I due borghi, sin dalle origini e fino agli inizi del 1800 circa, sono stati separati e hanno avuto, per lungo tempo, dialetto, cultura e tradizioni differenti.

Le frazioni, invece, in cui ormai risiede metà della popolazione, sono incastonate per lo più nella parte alta della montagna, in uno scenario paesaggistico molto suggestivo. 

La posizione geografica è invidiabile: Conflenti dista pochi chilometri dal mare e dalle pendici della Sila ed è facilmente raggiungibile dalle principali vie d’accesso (autostrada del Mediterraneo dall’uscita di Altilia; aeroporto e stazioni ferroviarie di Lamezia Terme e Cosenza. 

Il nome: le origini del nome sono controverse. Secondo alcuni, Conflenti deriva dal participio latino cumfluo, ossia confluente, riferito alla confluenza di due fiumi. Secondo altri da cum flentes, ovvero piansero assieme, riferito al luogo dove pare si fossero fermati i soldati di Pirro dopo essere stati sconfitti in battaglia. Più plausibile sembra la provenienza del nome da confluentes, da cui conflentari e in dialetto cujjintari, inteso come coloro che confluivano in questo luogo. Tanta gente infatti arrivò a stabilirsi qui nel corso dei secoli. 

Triponia

Chiesa di San Nicola

 

La storia: le prime tracce di insediamenti sono quelle rinvenute intorno al carcere baronale della Triponia, nel rione Lupa, attorno al IX secolo. Ma è solo intorno al cenobio basiliano di San Nicola, dopo l’anno Mille, e successivamente intorno alla chiesa di Sant’Andrea che si formarono due villaggi veri e propri che ben presto vennero incorporati alla contea di Martirano.

Verso il 1500, per sfuggire alle persecuzioni, arrivò una piccola colonia di ebrei che si insediò in zona Fucili al Casale e si integrò agevolmente con la popolazione locale dando ulteriore impulso a un’economia già vivace.

Il destino del piccolo borgo cambiò a seguito delle miracolose apparizioni della Madonna e alla conseguente costruzione del Santuario in località Visora nel 1580. 

Conflenti già sul finire del 1500 aveva una sua importanza strategica sulla linea di confine tra la Calabria Citra e quella Ultra ed era un importante riferimento dal punto di vista religioso. 

Prova ne è la grande pittura murale della Calabria nella Galleria del Belvedere in Vaticano, risalente al 1580, in cui appare Conflenti con accanto la figura stilizzata della chiesa.

A metà del 1600 Conflenti raggiunse un notevole sviluppo e a inizio 1700 contava un numero di abitanti pari a quello di Nicastro. Da allora e fino a metà del Novecento la crescita demografica proseguì fino a toccare i cinquemila abitanti nel secondo Dopoguerra. Da quel momento, però, un imponente flusso migratorio ha portato migliaia di conflentesi a trasferirsi in altre parti del mondo.

La festa patronale è il 7 Febbraio, giorno di ringraziamento in onore della Madonna di Visora che preservò la gente di Conflenti dal devastante terremoto che nel 1783 rase al suolo tutti i paesi del circondario. 

La ricorrenza più importante rimane tuttavia quella dell’ultima domenica di agosto, sempre in onore della Madonna, che raccoglie migliaia di fedeli provenienti da tutto il mondo.

Storie di paese è un progetto ideato dalla Fondazione italiani.it e sviluppato in collaborazione con l’Amministrazione comunale per promuovere il territorio e diffondere la cultura dell’accoglienza, tratto storicamente distintivo di Conflenti. 

L’iniziativa è parte di un programma molto più ampio di tutela della memoria storica e valorizzazione degli elementi identitari che sta perseguendo la Fondazione con l’obbiettivo di rendere più facilmente fruibile il patrimonio culturale, storico e artistico delle nostre comunità.

Gli utenti infatti potranno accedere a tutti i contenuti che riguardano il nostro paese in modo semplice e intuitivo direttamente dal proprio smartphone, attraverso la tecnologia QR Code.
Le informazioni raccolte offrono uno spaccato molto suggestivo di Conflenti, della sua storia e delle sue tradizioni.
Il ricchissimo patrimonio memoriale viene messo a disposizione della comunità e trasmesso alle nuove generazioni rappresentando un ideale ponte tra passato e futuro.
In questo modo i residenti potranno “riappropriarsi” del proprio passato e rafforzare il legame con le proprie radici consolidando il senso di appartenenza e l’amore per i propri luoghi.

I visitatori di Conflenti, invece, potranno usufruire di una guida virtuale che li accompagnerà alla scoperta del borgo durante la loro permanenza.
La creazione di una pagina web di riferimento permetterà, infine, di rinsaldare il legame con i conflentesi emigrati nel mondo, che, collegandosi, potranno accedere ai contenuti in tempo reale.
Favorendo una cultura dell’identità, incentrata sulla valorizzazione della storia e delle tradizioni, il progetto punta a promuovere una prospettiva culturale dinamica e orientata al futuro, capace di promuovere, tra le altre cose, anche una forma diversa di turismo, lento, consapevole e sostenibile.
Un turismo basato su una filosofia esperienziale in cui la conoscenza del territorio avviene tramite l’interazione fra visitatori e abitanti e attraverso la scoperta della cultura e degli usi e costumi che contraddistinguono la comunità.

Abbiamo pensato di proporre  le informazioni agli utenti in una modalità semplice e facilmente fruibile, individuando delle aree tematiche o percorsi.
Questo ci ha permesso di raccontare il nostro paese in tutte le sue sfaccettature e allo stesso tempo permetterà a ogni utente di focalizzarsi sul suo ambito di interesse.

Oltre ai percorsi sono state messe a disposizione dei visitatori due aree di servizio: una dedicata alla ricettività turistica, un’altra dedicata alle associazioni e agli eventi programmati, che saranno molto utili per rendere più piacevole il soggiorno.

 

La Fondazione italiani.it ETS è un’organizzazione no profit che opera a livello globale con l’obiettivo di promuovere l’Italia e l’italianità. 

Per raggiungere tali obiettivi, la Fondazione, attraverso i suoi progetti, si impegna nella diffusione della lingua, della cultura, della scienza, delle tradizioni, dell’arte, della musica e dello sport del nostro Paese.

Il suo scopo principale è quello di creare una solida rete di connazionali per rafforzare il senso di appartenenza e il legame tra gli italiani nel mondo ma anche la connessione con il Paese di origine attraverso l’utilizzo della Rete e delle nuove tecnologie

La Fondazione italiani.it ETS è aperta alla collaborazione con enti pubblici e privati, e svolge attività culturali, organizza eventi turistici, artistici o ricreativi di interesse sociale, nonché promuove e sostiene interventi per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e artistico, anche in collaborazione con la Pubblica Amministrazione. 

La Fondazione si impegna a fornire assistenza e supporto a tutti gli italiani e ai loro discendenti nel mondo, anche attraverso un apposito ufficio dedicato.

Il S.U.I.M sportello unico per gli italiani nel mondo, fortemente voluto dai fondatori, rappresenta lo sforzo più grande messo a disposizione di tutti gli italiani all’estero per avvicinarli al loro paese d’origine venendo incontro alle loro esigenze e abbattendo le lungaggini burocratiche.

La Fondazione italiani.it è parte integrante del progetto Italiani.it, il quale mira a creare una rete globale di italiani nel mondo. 

Questa iniziativa nasce da un’idea che ha preso forma qualche tempo fa, alimentata dal coraggio, dall’intraprendenza e dall’orgoglio di sentirsi italiani dei fondatori che avevano avvertito forte il bisogno e il sentimento comune di tutti gli italiani all’estero e dei loro discendenti di avere uno spazio virtuale in cui potersi riunire. 

Conferita a Paola Stranges, Presidente della Fondazione, l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia.

Dal progetto alla realizzazione

La volontà di creare una rete di italiani nel mondo uniti dall’amore per l’Italia è stata alimentata dal profondo e legame indissolubile che sia gli italiani che gli altri provano per il nostro Paese. È nata dalla sete di cultura, di stile e di lingua italiana che non ha ancora trovato una risposta adeguata.

Il progetto ha preso forma e si è consolidato gradualmente nel corso del tempo. Nel 2016 è stato lanciato il sito www.italiani.it , con l’obiettivo di creare una vasta rete di italiani: la prima grande comunità di italiani nel mondo. Questa piattaforma virtuale rappresenta una “piazza virtuale” in cui gli italiani e gli amanti dell’Italia, distribuiti in tutto il mondo, possono incontrarsi e ritrovarsi per condividere e promuovere il nostro Paese. È una rete di individui che, uniti dall’amore per l’Italia, narrano e valorizzano il Bel Paese, la sua cultura millenaria, la sua cucina unica, lo stile, il gusto per l’estetica e l’abilità nel farsi notare ovunque si trovino.

Storia di una delle famiglie più influenti di Conflenti.

Il casato più importante di Conflenti, soprattutto nei primi secoli, è stato quello dei Vescio.
La loro storia, fino alla fine del 1800 si identifica con la storia stessa del paese e del suo territorio.
I Vescio, che rivendicano origini normanne, agli allori erano di Martirano e si spostarono a Conflenti dopo la rivolta del 1512 contro il nuovo feudatario Andrea De Gennaro, inizialmente promossa e guidata proprio dai Vescio, che mal sopportavano di sottostare al nuovo signore.
Fu coi Vescio che Conflenti Sottani, da piccolo insediamento di pagliare, si trasformò in un vero e proprio casale.
La nuova ricca famiglia costruì il primo palazzo nobiliare sul costone più alto della Rupe che dominava i terreni del loro feudo: il Fiego; e subito dopo costruì anche il secondo palazzo, vicino al primo, insieme alla cappella di San Giovanni, di patronato laicale della famiglia.

 

Tra le famiglie importanti, quella dei Vescio, i cui palazzi costituirono il vero nucleo urbano del paese, era l’unica ad avere sul portale lo stemma del casato e i loro possedimenti terrieri oltre che a Conflenti, si trovavano a Decollatura, Platania e perfino a Sambiase.
I Vescio contrassero alleanze con le famiglie più potenti della Calabria, e altre legarono ai loro destini con matrimoni mirati, si pensi ai Maione di Grimaldi, ai De Medici e ai De Maio, che addirittura si spostarono a Conflenti.
La potenza dei Vescio del resto si manifestava anche nei confronti dell’autorità baronale ed ecclesiastica ed emerse già nel ‘500 in due occasioni storiche per Conflenti: la prima, l’ospitalità negata per loro volere alla Contessa Cornelia Spinelli, moglie del barone D’Aquino, in occasione della peste del 1579, consci del pericolo di contagio che in effetti poi fece strage a Conflenti Soprani che la ospito’; la seconda, la celebrazione della prima messa nel nuovo Santuario officiata non dal Vescovo, come era logico aspettarsi, ma dal vicario foraneo dei Vescio, Giampiero, e del resto nel nuovo tempio, la potente famiglia erano titolare di ben tre cappelle di jus patronato.
Il loro potere continuò per molto ancora, prova ne è un altro episodio legato a Carlo Vescio, che nel 1724, riuscì a rinchiudere nel suo palazzo un manipolo di gendarmi venuti ad arrestarlo e che liberò solo alcuni giorni dopo averli sbeffeggiati, senza che succedesse nulla.
Il tramonto del potere dei Vescio era però vicino e, già tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’’800, a causa di molteplici matrimoni con il conseguente frazionamento della proprietà, il casato iniziava a perdere la sua forza degli anni passati.

Nei primi decenni dell’800 i Vescio cominciarono a vendere le proprie terre e a trasferirsi o addirittura emigrare in America.
Quelli rimasti, rimanevano sempre una famiglia importante e ricevevano ancora il titolo di Don, ma dovevano vivere del loro lavoro. Uno di loro trasformò in negozio di pellami la loro vecchia cappella patronale di San Giovanni ormai in disuso, e altri, è il caso dei Dduoghi, vivevano di agricoltura coltivando la vecchia proprietà del Fiego.
Un detto diventato proverbiale sintetizza la vecchia potenza esercitata in passato e la successiva perdita di forza del nobile casato: “tutto finisce……anche i carlini dei Vescio.

Liberamente tratto dal libro di Vincenzo Villella: Conflenti.

A seguito dell’enorme successo ottenuto dagli artigiani conflentesi alla Mostra Internazionale dell’artigianato artistico di Firenze del 1973, con il conseguimento della medaglia d’oro e della quasi concomitante nuova istituzione della Regione, si aprì un importante spiraglio di luce per gli artigiani casalini.
Infatti, alla tipica produzione di manufatti in legno dei nostri artigiani, anche in considerazione delle enormi richieste che arrivavano dai mercati nazionali ed esteri, si era interessato l’Assessorato all’Industria, Commercio e Artigianato.

Addirittura era stato predisposto un piano di intervento regionale per l’artigianato del legno conflentese, ed era stato incaricato un esperto del settore venuto dalle Marche per determinare le innovazioni tecnologiche e le attrezzature necessarie per l’ammodernamento del processo produttivo e quindi per l’incremento della produttività, vero tallone d’Achille del comparto.
Il piano era quasi giunto alla fase operativa, erano persino stati individuati i fondi nel cap. 3809 del Bilancio Regionale, ma tutto misteriosamente si bloccò.
Solo dieci anni dopo e per la prima volta nella storia del nostro piccolo comune, grazie alla tenacia e all’impegno dell’allora Sindaco Vittorio Paola, l’artigianato tipico conflentese divenne centrale e strategico nelle scelte politiche.
Fu finalmente ideata e attuata una strategia complessiva di rilancio di un comparto che tanto aveva significato per molte famiglie conflentesi, che partì con la costituzione di una cooperativa di cestai, guidata dai mastri cestai ancora in attività e fu avviato un corso di apprendistato per giovani da avviare a questa professione.
Il progetto doveva poi concludersi-completarsi con la costruzione di un Centro artigianale e museale da dare in gestione agli artigiani, con annessi laboratori e sala mostra.
Sembrava un sogno irrealizzabile, eppure inaspettatamente la perseveranza del Sindaco venne premiata e il centro artigianale si realizzò.
Per una volta la politica, seppure in ritardo, forse, aveva fatto il suo lavoro.
Purtroppo, se dieci anni prima, essa non aveva supportato adeguatamente gli artigiani e per questo l’opportunità era svanita, questa volta furono i giovani conflentesi a non credere convintamente in sé stessi e a questa possibilità.

La cooperativa per un breve periodo avviò la produzione, principalmente di cestini, ma poi per una serie di vicissitudini legata soprattutto alla mancanza di risorse da investire nell’acquisto di attrezzature, chiuse.
Unico aspetto positivo, che qualcuno imparò il mestiere e il mestiere in qualche modo si è mantenuto.
Oggi il Centro Artigianale, in parte utilizzato da altre attività artigianali, sovrasta dall’alto il piccolo e caratteristico borgo di Conflenti Superiore, testimone e guardiano di un sogno irrealizzato.

Sino agli anni sessanta a Conflenti non c’era un campo sportivo, anche perché in un paese come il nostro, pieno di dirupi, costruirlo non era facile e se si voleva giocare bisognava inventarselo. 

Sino a quando di automobili ne circolavano poche (cinque o sei fino alla fine degli anni cinquanta) si giocava sulla strada principale o vicino al cimitero: campi lunghissimi e strettissimi. Con frequenti interruzioni per invasioni di campo di cani, maiali e galline; animali all’epoca numerosi e sempre in libera uscita. 

Poi quando la circolazione aumentò (si fa per dire) e diventò impossibile giocare ci si spostò in collina a Salicara; per arrivarci ci voleva quasi mezzora (a piedi naturalmente); un buon esercizio di preriscaldamento! 

Si giocava su uno spiazzo, scoperto non so da chi, in mezzo ad un fitto castagneto dove talora c’era da dribblare anche qualche tronco d’albero.

All’epoca c’erano anche alcuni seminaristi e giocavano rigorosamente in abito talare.

Quando la palla finiva fuori, bisognava cercarla tra le felci, interrompendo il gioco. Anche il ritorno avveniva pedibus calcantibus

Negli ultimi anni riuscimmo ad eliminare queste faticose trasferte e giocammo in uno spiazzo di Conflenti Superiore spianato per costruirvi delle case popolari. Fortunatamente per noi, sfortunatamente per chi doveva andare ad abitarci, le case non furono mai costruite e godemmo di quel terreno per un po’ d’anni.  

Per una di quelle incomprensibili storie che spesso succedono al Sud, nella documentazione del Genio Civile di Catanzaro le case risultavano già costruite ed abitate ed un giorno si presentarono due ingegneri per il collaudo dei lavori. Pare avessero anche i nomi degli inquilini.

Lo spiazzo non era grande, ma per noi era come uno stadio, finalmente le porte con pali e traverse, giocavamo rigorosamente undici contro undici partite interminabili in cui il pallone o una gamba lo prendevi sempre. 

Verso la metà degli anni ottanta, quando poi in verità di bambini che giocavano iniziavano e essercene pochi e comunque a Conflenti finalmente era stato costruito un campo vero, di quello spiazzo si decise di farne una piazza vera e ne venne fuori una piazza accogliente che si decise giustamente di dedicare ai nostri emigrati.

Ci viene spontaneamente da chiederci cosa ne sarebbe stato di Conflenti Soprani se le case popolari fossero state costruite veramente là…

                      

             Di Antonio Coltellaro.

Un commiato da medaglia d’oro degno per una tradizione secolare

Il 1973 è stato l’anno in cui gli artigiani conflentesi hanno avuto l’occasione storica di far conoscere i loro manufatti al mondo e cambiare il proprio destino. Infatti, alla 37esima Mostra Internazionale dell’Artigianato Artistico che si tenne a Firenze, ottennero la Medaglia d’Oro.

La notizia fu accolta con molta soddisfazione, più che a Conflenti – dove passò quasi in sordina – negli ambienti interessati ai manufatti realizzati dai nostri artigiani. Scrivono, in un bellissimo articolo a doppia firma sul Giornale di Calabria, Vincenzo Villella ed Emilio Mastroianni il 24 Giugno 1974:
“Ceste, sporte, panieri, barili, lavorati con la semplice arte di sempre, costituiscono i prodotti singolari di un artigianato tipico a carattere familiare che continua ad essere un fenomeno culturale, l’espressione ancora autentica di una civiltà ancestrale socialmente isolata che, fin dal suo formarsi, ha sempre adeguato il proprio vivere al ciclo perenne della natura.

A Conflenti Superiore, una borgata incassata in una boscosa e suggestiva vallata ai piedi del monte Reventino, in un’atmosfera primordiale di silenzio quasi religioso, lavorano come al di fuori del tempo i pochi artigiani sopravvissuti ad una gloriosa tradizione che risale all’epoca dei primi insediamenti della zona. Lavorano come allora negli angusti bassi a piano terreno delle loro case in pietra, ripetendo i gesti quasi rituali della creazione. L’accetta, la piallina e robusti e massicci coltelli sono i soli ancora rustici arnesi di un’arte ignorata dalla meccanizzazione e dalla produzione industriale.

Ogni cesta o barile o paniere sono vere e proprie creazioni individuali, esclusive ed originali perché sono frutto del lavoro delle mani di un solo artigiano dalla pianta alla vendita del prodotto. L’artigiano infatti si deve dapprima procurare il legname nei boschi di Conflenti e dei paesi limitrofi, una volta scelta la pianta deve ridurla in tronchi, spaccarli in “quartieri” e quest’ultimi, a loro volta, ridotti col coltello e la piallina in sottilissime stelle, ossia vere e proprie cinghie di legno sottilissime e resistenti. Queste stelle poi vengono intrecciate e cucite con sottilissimi fili e infrascate, ricavati con incredibile pazienza e perizia dalla sfaldatura a mano di pedaline di castagno ancora verdi. Gli artigiani producono lavorando ininterrottamente tutto il giorno poche ceste, oggi come tre quattrocento anni fa”.

Ma da dove nasce questa incredibile arte e perché? Anzitutto, c’è da considerare il fattore territoriale-geografico: l’isolazionismo, la lontananza dai grandi centri e la precarietà delle vie di comunicazione hanno per forza di cose fatto proliferare l’artigianato per l’utilizzo delle risorse naturali del luogo e la realizzazione di quei manufatti che poi venivano importati. Poi c’è un elemento altrettanto incisivo: sul territorio vi era una forte richiesta per lo più dovuta alla produzione di vino, nella quale Conflenti eccelleva, e i manufatti servivano sia per la raccolta che per conservazione.
A questa richiesta, per forza di cose, si doveva rispondere e ciò portò, appunto, all’espansione dell’artigianato locale e al raggiungimento dei suoi picchi.
A onor del vero bisogna chiarire che questa difficoltà nelle comunicazioni non impedì comunque agli artigiani conflentesi di commercializzare la loro produzione, unica e poco imitata, in tutto il comprensorio.

Pur essendo un paese chiuso tra i monti, un tempo mal collegato con i grandi centri a causa di vie di comunicazione disagiate e precarie, pur essendo i suoi abitanti in prevalenza contadini e artigiani, Conflenti ha sempre dato prova di apprezzare la cultura, favorendone la diffusione anche a costo di grandi sacrifici.
Anche se, si sa che, in passato, nel Meridione l’andazzo dei tempi in fatto di istruzione era quello che era: essa rimaneva prerogativa di pochi perché la prepotente nobiltà locale preferiva tenere le masse popolari nell’ignoranza.

La scuola era solo un privilegio di pochi e sottratta alla possibilità dei più, l’istruzione veniva impartita solo ai figli maschi delle famiglie più ricche.
I ragazzi delle famiglie umili invece venivano come mandati come discipuli alle botteghe degli artigiani, dove mastri e summastri impartivano il senso della disciplina e trasmettevano il loro sapere, oppure come garzuni o guardiani di pecore dai contadini più ricchi.
Discipuli e garzuni erano i nostri avi-ragazzini, così imparavano la vita, spesso coltivando il sogno di emigrare nel nuovo mondo.
L’Italia post unitaria cominciò a dare importanza all’istruzione e obbligò i comuni a organizzare le scuole, ma i risultati non furono incoraggianti, anche perché i poveri contadini non potevano permettersi di mandare i figli a scuola sottraendo braccia al lavoro dei campi.

All’inizio del Novecento i maestri a Conflenti erano Emanuele Caruso ed Eugenio Paola per le classi maschili e la maestra Pasqualina con una classe femminile, in verità poco frequentata. Le classi erano numerose, anche di 80 alunni, e le scuole erano disseminate per il paese, in case private nei diversi rioni, aru chianiattu o vasciu. Col passare del tempo le cose migliorarono e dopo la nuova costituzione repubblicana del 1948 la scuola divenne anche a Conflenti effettivamente obbligatoria.

La scuola a Conflenti nel secondo dopoguerra.

Bisogna dire che, comunque, Conflenti era uno dei pochi paesi del circondario ad avere fin dal 1930 il privilegio di un asilo infantile, che era stato istituito presso i locali del Santuario in seguito ad un lascito di un benefattore Raffaelino Maio e gestito dalle suore del Cottolengo, appena arrivate dalla casa madre di Torino.

Di scuole elementari vi erano cinque classi a Conflenti Sottani e cinque al Casale e rimasero sparse per il paese fino alla costruzione del nuovo edificio nei primi anni ‘70.
Nelle campagne invece vi erano le pluriclassi.
All’inizio non esisteva la scuola media, al tempo non obbligatoria e per accedervi bisognava sostenere degli esami a Nicastro.

Solo alla fine degli anni ‘50, fu richiesta e istituita la scuola di avviamento professionale di tipo industriale e la stessa il 31 dicembre 1962 divenne Scuola Media Unificata Obbligatoria. La scuola media era unica e fino alla fine degli anni ‘70 era a Conflenti Soprani nella casa di Domenico Paola di fianco alla chiesa della Madonna di Loreto, solo un p0′ di tempo dopo fu spostata anch’essa nel nuovo edificio.
Da allora tutti i ragazzini conflentesi hanno frequentato la scuola dell’obbligo fino al 14° anno, per come prescrive ora la legge.