Dialetto: dove si conserva la storia di una comunità
Il dialetto ha un importante valore come scrigno che conserva storia, cultura, usi e valori della comunità che lo parla. Esso fa parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed è l’inevitabile segno che ci fa dire che apparteniamo ad un certo luogo, ad un certo tempo e che ci identifica e ci colloca nel posto preciso della nostra storia personale.
Il dialetto rappresenta la nostra etichetta, le nostre radici, la nostra carta d’identità.
È l’espressione di un popolo, è come un abito fatto su misura, è come una spugna che assorbe fatti, episodi, luoghi, persone e che restituisce fatti, episodi, luoghi, persone con profilo e identità precisi, ma soprattutto con un’anima.
Amare il dialetto, usarlo nel nostro quotidiano, insegnarlo ai nostri figli, significa amare noi stessi, significa essere possessori di una grande eredità: l’eredità della nostra storia.
La sua importanza sta nel fatto che è vicinissimo alla vita quotidiana e verace della gente e rappresenta una diversità di radici storiche, di culture, di esperienze umane che non deve andare perduta.
È importante conoscere l’idioma nazionale come strumento di comunicazione, ma la diversità socio-culturale fra le diverse comunità italiane è una ricchezza che va mantenuta, difesa, valorizzata e divulgata.
Da nord al sud numerose, nella storia, sono stati i poeti e gli autori che hanno inteso esprimersi in vernacolo con ottimi risultati: dai napoletani Giulio Cesare Cortese e Giovan Battista Basile, al milanese Carlo Maria Maggi, nel Seicento, a Goldoni, a Porta, a Belli, e in tempi più recenti, a Salvatore Di Giacomo, a Trilussa e al suo amico e nostro compaesano Butera, a Eduardo De Filippo ad Andrea Camilleri, tanto per citarne qualcuno.
Occorre, pertanto, all’interno del più ampio disegno della letteratura nazionale recuperare questo patrimonio linguistico in vernacolo in tutta la sua ricchezza, varietà, bellezza e significato.
Preservare, valutare e conservare il dialetto significa valorizzare la nostra cultura, le nostre radici e la nostra storia.
Pasolini vedeva nel dialetto l’ultima sopravvivenza di ciò che ancora è puro e incontaminato. Come tale doveva e deve essere “protetto”.
Liberamente tratto da un articolo del professor Salvatore Trovato, Ordinario di Linguistica generale e Glottologia
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