Il mistero del Quadro Divino

Il Quadro Divino è da considerarsi la più antica e preziosa immagine della Vergine Maria esposta al culto nel Santuario di Conflenti. 

Narra la tradizione che il 9 luglio 1581, nel tempio di Visora, fu rinvenuto un quadro su tela dipinto da mano misteriosa, con una dolce e tenera immagine di Maria col bambino, rispondente alla descrizione dei veggenti. 

Le autorità civili e religiose del tempo avevano consultato diversi pittori di una certa fama perché si eseguisse un dipinto che riportasse fedelmente le sembianze della Vergine apparsa più volte a Conflenti.  

La scelta era ricaduta sul messinese Muzio Roblani, che dapprima, con grande scrupolosità, volle ascoltare i testimoni oculari per farsi dire con dovizia di particolari come era l’immagine presentata loro durante le apparizioni. 

Poi volle riflettere un po’ sulla descrizione, e quindi, il 9 luglio, di buon mattino dopo aver illustrato ai cittadini come intendeva raffigurare l’immagine santa, con alcuni conflentesi che volevano assistere all’esecuzione dell’eccezionale opera pittorica, si avviò verso la chiesa. 

Vi giunsero, entrarono, e indescrivibile fu la loro sorpresa quando si accorsero che una bellissima Madonna, a mezzo busto, maestosa, col bambino tra le braccia, era già dipinta.

Con immenso stupore contemplarono l’immagine: la Madonna era coperta da un manto azzurro, mostrava scoperti il volto e le mani. La veste purpurea dava maggior risalto al volto modesto e grave, accarezzato da ambo le parti dai capelli biondi e reso più arcano dalle ciglia nere, le pupille scure e le labbra rosso porpora. Dalle mani pendeva un lino bianco e il bambino, ricoperto da una veste di bisso e porpora, benediceva con la mano destra.

Da allora il Quadro Divino, collocato in una apposita nicchia sopra l’altare maggiore, iniziò a essere venerato, anche se inizialmente venne protetto con solenne drappeggio che veniva aperto solo in occasione della festa.

Il mistero del Quadro Divino continuò ancora con un altro segno miracoloso riportato dalle “Sacre memorie”: il primo sabato di ottobre 1726 i cappellani entrando nel Santuario per celebrare la messa, videro una luce che a forma di stella usciva dal Quadro, coperto da un drappo. il fenomeno luminoso rimase manifesto a tutti per otto mesi.

Il papa Pio VI, il 4 luglio del 1782, con un Pontificio Rescritto attribuì al vescovo di Nicastro, Francesco Paolo Mandarano, l’incarico di procedere, personalmente o per sua delega ad altra persona costituita in dignità vescovile, all’incoronazione della Vergine e di Gesù bambino rappresentati nel Quadro Divino.

Il 31 agosto 1783, domenica della festa si procedette all’incoronazione del Quadro Divino, mediante applicazione delle due corone auree a suo tempo trasmesse dal Capitolo Vaticano, avendo cura che nel retro della tela fossero apposti i sigilli vescovili. Gli autori delle due corone furono due orafi romani molto famosi, i fratelli Giuseppe e Bartolomeo Boroni.

Il 9 giugno 1894, il vescovo Domenico Maria Valensise, nel corso della visita fatta al Santuario, accertò che i sigilli delle corone erano intatti.

Oggi il Quadro Divino sormonta l’altare maggiore, incastonato in una cornice dorata nel ripiano più alto, come per avere la totale visione della navata e viene solennemente portato in processione la seconda domenica di agosto in occasione della Festa dell’Emigrato.

Il Vescovo Cantafora ne ha voluto fortemente una copia e l’ha commissionata all’artista Nathanael Theuma. L’opera, riproduzione alquanto fedele dell’originale, realizzata seguendo la tecnica dell’icona è custodita all’interno della Cattedrale di Lamezia.

                                                      Descrizione del Quadro 

Il linguaggio iconografico del dipinto non è riscontrabile in un prototipo specifico in ambito costantinopolitano così come avviene per tutti i più famosi modelli iconografici. Ci sono delle somiglianze con l’Achiropita venerata nella cattedrale di Rossano (X secolo), con la Salus Popoli Romani nella basilica di Santa Maria Maggiore e con l’affresco di santa Maria Antiqua (VII sec.). L’icona mariana di Conflenti è stata fatta risalire ad una variante dell’Odigitria o ad una sua rappresentazione primitiva. In realtà però, poiché la Vergine Maria non indica il Figlio, ma è piuttosto il Bambino Gesù che guarda e indica la Madre, si esclude questa possibilità e si preferisce classificarla quale “Madonna dalle mani incrociate”, riscontrabile in ambito bizantino, come ad esempio è raffigurata nella cupola della chiesa della Dormizione a Nicea del X secolo. 

La Vergine, che è in posizione eretta, richiama lo stare di Maria ai piedi della croce. I suoi occhi segnano il punto di convergenza delle linee compositive dell’opera. Spalancati sul mondo sembrano scrutare le necessità dei suoi figli e commuoversi per i loro affanni. La compostezza della figura riprende elementi specifici dell’abito cerimoniale della Basilissa bizantina.

Il manto decorato e impreziosito con piccoli globi dorati formanti una croce, la posizione frontale e il fazzoletto nella mano sinistra, sono attributi provenienti da un’antica iconografia regale. Le mani incrociate suggeriscono di consegnare, come Lei, la nostra vita al Padre, sapendo che Dio prima di noi ci ha donato suo Figlio per la nostra salvezza. Le due dita della mano destra, lunghe e distaccate indicano la doppia natura, umana e divina, del Figlio, e, nello stesso tempo, formano, con il pollice che resta nascosto, un riferimento alla comunione trinitaria. La mano sinistra, invece, stringe il fazzoletto di lino bianco, che oltre ad essere un segno della regalità, di cui Cristo l’ha rivestita, indica il pianto di dolore versato per la passione del Figlio. Il pollice sinistro sollevato verso l’alto vuole indicare il gesto di chi sceglie la vita e non la morte: il peccatore può sempre sperare nella salvezza. Questi elementi insieme alla tunica rosso porpora, alla tonalità scura del mantello, al volto che lascia trasparire un velo di tristezza, portano il fedele che osserva l’icona a rivivere i sentimenti di Maria durante la passione del Figlio suo (cf. Lc 2,35). A rafforzare tale idea vi è, inoltre, il fatto che per diversi anni la festa del Quadro Divino è stata celebrata nel sabato antecedente la domenica di Passione, periodo in cui la chiesa latina, prima della riforma liturgica ricordava i sette dolori della Vergine. 

Dalla lettura dei segni iconografici del Figlio si possono cogliere alcuni aspetti: lo stile di obbedienza (cf. Fil. 2,8), le gambe incrociate che indicano l’abbandono filiale all’amore del Padre, la mano sinistra che sorregge il libro della Parola, gli occhi protesi verso la Madre, la mano destra benedicente che ci riporta al testamento di amore che Gesù consegna dall’alto della croce (cf. Gv. 19, 26–27).