“Jire aru mastru. Tumasi e Betta ‘u custulieri”
Per i ragazzi degli anni ‘50 a Conflenti jire aru mastru era una prassi consolidata. Ci si andava di pomeriggio, perché la scuola era ormai diventata obbligatoria e quindi la mattina era ormai impegnata.
U Mastru era colui che aveva un sapere consolidato e una attività artigianale in proprio. I ragazzi, ma molto più spesso i genitori per loro, sceglievano un mestiere da intraprendere e il pomeriggio andavano presso la bottega del mastro prescelto.
Una volta l’apprendistato iniziava molto presto, dai sette anni in su. Non tutti venivano accettati. Non era facile essere assunti, bisognava farsi raccomandare e corteggiare molto a lungo i mastri per riuscirci.
Jire aru mastru non era solo una antica tradizione, ma aveva anche una funzione sociale. Oltre a imparare un mestiere, non si finiva sulla strada ma soprattutto si imparava a stare al mondo e questo in una società gerarchica e chiusa, dove non c’era la possibilità di scalare socialmente posizioni, era molto importante.
Dal mastro si imparava la vita, ad accettare la gerarchia, a pensare che le cose stavano in un certo modo e non si potevano e dovevano cambiare, perché funzionavano così.
Ogni mastru aveva un discreto numero di apprendisti, cui avrebbe col tempo tramandato il suo sapere artigianale.
All’inizio si faceva poco o niente. U Mastru tastava la pazienza e l’abnegazione del discepolo, solo pulizie e qualche commissione. Poi, se si superava la prova, venivano affidati i primi lavoretti e lentamente a seconda dell’anno d’arrivo e delle capacità si cominciava a creare una gerarchia; lentamente si avanzava sino a quando imparato il mestiere si diventava summastru e ci si preparava al gran salto: per mettersi in proprio.
Ovviamente U Mastru pensava pure a non armare troppo quella poi sarebbe diventata la sua concorrenza e non insegnava tutti i segreti.
Di pagamenti non se ne parlava proprio; qualche regalo i ragazzi lo ricevevano direttamente dai committenti quando consegnavano il prodotto finito. Solo in occasione della festa patronale, era consuetudine, che U Mastru distribuisse un pó di soldi ai propri discipuli.
Vasciu, cioè a Conflenti inferiore non esistevano cestai e barilai e i mestieri più diffusi erano: varviari (barbiere), scarpari (calzolai) malgrado si scarpe in giro se ne vedevano davvero poche, custulieri (sarti) per uomo e per donna, falegnami, chiancari (macellai), forgiari (fabbri), quadarari (stagnini) e stranamente, per lo stesso motivo degli scarpari, anche riuggiari (orologiai)
Tumasi ‘e Betta u custulieri
Fra tanti mastri c’era a Conflenti un famoso sarto: Tommaso Roperti (Tumasi ‘e Betta) il papà del nostro amato Professor Corrado.
A quei tempi i custulieri avevano un gran da fare, i vestiti confezionati erano molto rari e costavano troppo. Ognuno comprava la stoffa nei negozi di panname e poi il sarto con il suo lavoro di taglio e cucito, con tanta pazienza, confezionava vestiti per tutte le taglie e tutti i gusti.
E lo stesso faceva anche la sarta, anch’essa figura molto popolare. Tumasi ‘e Betta era però tanto bravo che cuciva per uomo e donna. I primi vestiti già confezionati a Conflenti iniziarono a vedersi nell’immediato dopoguerra, quando iniziò la distribuzione di viveri e vestiti a cura del centro di cultura e quando iniziarono ad arrivare con frequenza pacchi dagli emigrati per chi era rimasto a Conflenti. Ovviamente potete immaginare il gusto e i colori americani e le misure mai precise, ma di fronte alla estrema povertà alcuni non potevano di sicuro mettersi a storcere il naso.
Ancora per molto tempo, comunque, chi poteva permetterselo e, aggiungiamo noi, anche chi non poteva, almeno per le occasioni importanti, continuava a rivolgersi ai nostri mastri custulieri.
Tumasi ‘e Betta era conosciutissimo per il taglio geometrico che aveva appreso presso “L’unione Scuole di Taglio Italiane” di Napoli, diretta allora, nell’anno 1922, dal prof. Ignazio Dainotti.
Al termine del corso, lo stesso prof rilasciò al giovane allievo il diploma, che il figlio Corrado ha lasciato tuttora nella vecchia bottega del padre, nello stesso posto dove lui l’aveva posto.
I discipuli che sono passati dalla sua bottega per imparare il mestiere sono stati tanti.
E molti si sono affermati col tempo anche fuori Conflenti, tra essi vogliamo ricordare per la loro bravura, i fratelli Peppino e Alfredo Aleni che a Milano sono diventati abbastanza famosi.
Dal libro di A. Coltellaro: Novecento Conflentese
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