“Tutto finisce….. anche i carlini dei Vescio”

Storia di una delle famiglie più influenti di Conflenti.

Il casato più importante di Conflenti, soprattutto nei primi secoli, è stato quello dei Vescio.
La loro storia, fino alla fine del 1800 si identifica con la storia stessa del paese e del suo territorio.
I Vescio, che rivendicano origini normanne, agli allori erano di Martirano e si spostarono a Conflenti dopo la rivolta del 1512 contro il nuovo feudatario Andrea De Gennaro, inizialmente promossa e guidata proprio dai Vescio, che mal sopportavano di sottostare al nuovo signore.
Fu coi Vescio che Conflenti Sottani, da piccolo insediamento di pagliare, si trasformò in un vero e proprio casale.
La nuova ricca famiglia costruì il primo palazzo nobiliare sul costone più alto della Rupe che dominava i terreni del loro feudo: il Fiego; e subito dopo costruì anche il secondo palazzo, vicino al primo, insieme alla cappella di San Giovanni, di patronato laicale della famiglia.

 

Tra le famiglie importanti, quella dei Vescio, i cui palazzi costituirono il vero nucleo urbano del paese, era l’unica ad avere sul portale lo stemma del casato e i loro possedimenti terrieri oltre che a Conflenti, si trovavano a Decollatura, Platania e perfino a Sambiase.
I Vescio contrassero alleanze con le famiglie più potenti della Calabria, e altre legarono ai loro destini con matrimoni mirati, si pensi ai Maione di Grimaldi, ai De Medici e ai De Maio, che addirittura si spostarono a Conflenti.
La potenza dei Vescio del resto si manifestava anche nei confronti dell’autorità baronale ed ecclesiastica ed emerse già nel ‘500 in due occasioni storiche per Conflenti: la prima, l’ospitalità negata per loro volere alla Contessa Cornelia Spinelli, moglie del barone D’Aquino, in occasione della peste del 1579, consci del pericolo di contagio che in effetti poi fece strage a Conflenti Soprani che la ospito’; la seconda, la celebrazione della prima messa nel nuovo Santuario officiata non dal Vescovo, come era logico aspettarsi, ma dal vicario foraneo dei Vescio, Giampiero, e del resto nel nuovo tempio, la potente famiglia erano titolare di ben tre cappelle di jus patronato.
Il loro potere continuò per molto ancora, prova ne è un altro episodio legato a Carlo Vescio, che nel 1724, riuscì a rinchiudere nel suo palazzo un manipolo di gendarmi venuti ad arrestarlo e che liberò solo alcuni giorni dopo averli sbeffeggiati, senza che succedesse nulla.
Il tramonto del potere dei Vescio era però vicino e, già tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’’800, a causa di molteplici matrimoni con il conseguente frazionamento della proprietà, il casato iniziava a perdere la sua forza degli anni passati.

Nei primi decenni dell’800 i Vescio cominciarono a vendere le proprie terre e a trasferirsi o addirittura emigrare in America.
Quelli rimasti, rimanevano sempre una famiglia importante e ricevevano ancora il titolo di Don, ma dovevano vivere del loro lavoro. Uno di loro trasformò in negozio di pellami la loro vecchia cappella patronale di San Giovanni ormai in disuso, e altri, è il caso dei Dduoghi, vivevano di agricoltura coltivando la vecchia proprietà del Fiego.
Un detto diventato proverbiale sintetizza la vecchia potenza esercitata in passato e la successiva perdita di forza del nobile casato: “tutto finisce……anche i carlini dei Vescio.

Liberamente tratto dal libro di Vincenzo Villella: Conflenti.