“Suprannumi Cujjintari”

Nelle nostre piccole comunità caratterizzate dalla presenza di pochi cognomi e dove spesso anche i luoghi hanno un cognome (Stranges, Paoli, Maruatti), uno dei fenomeni più caratteristici è senza dubbio quello legato all’utilizzo dei soprannomi.
Sicuramente a ognuno di noi di fronte alla classica domanda fatta da un anziano, a chine appartiani? Sarà capitato di dover ricorrere al soprannome di famiglia per fugare ogni dubbio.
Ovviamente c’è chi lo fa con orgoglio e chi invece se ne vergogna un pò. Noi siamo del parere che i soprannomi siano un tratto distintivo, un’antica usanza che per fortuna non si è persa e vada in qualche modo tramandata. Perché quest’epiteto che accompagna, e a volte addirittura sostituisce il cognome, indica appartenenza a un ceppo familiare, a un luogo o a un lavoro. Un soprannome designa una persona, la relaziona e la lega a una famiglia. Un soprannome ci rende unici, scansando anche i dubbi derivanti da omonimie. Ci sono soprannomi che derivano da professioni, altri dalla trasformazione di nomi propri o
cognomi. Alcuni indicano la provenienza, altri traggono origine da avvenimenti particolari. Altri ancora sottolineano una peculiarità fisica e caratteriale dell’individuo. A ogni modo, un soprannome racchiude in sé un insieme di valori belli da trasmettere. Andiamo, dunque, alla scoperta dei principali soprannomi conflentesi.

 

I soprannomi Conflentesi

A Conflenti il complesso di soprannomi è molto ricco. Ce ne sono dei più svariati. Di alcuni si può intuire il significato, molti altri, invece, difficili da decodificare. Per esempio, gragagli, chianci e ancora prigatoriu, cariuali e pirilli, chissà cosa stanno a indicare.
Su alcuni si possono fare congetture. I puarzi e i purziani potrebbero aver avuto un’antenata chiamata Porzia o magari prussiana. Micusei magari deriva da Micu, Domenico. E i minnicini provenivano da Mendicino? Per taliani potremmo pensare una forma dialettale di italiani, a un avo di nome Italia o Italo. L’“ohi boh” detto sovente da un signore gli affibbiò il soprannome di bobba. Con bruacculinu viene facile il collegamento ai broccoli ma, seguendo Butera, capiamo si tratti di qualcuno emigrato e poi ritornato da Brooklyn. Panara ci riporta alla mente i panari, cesti. E schette e ri schiatti erano persone non sposate, o estremamente schiette? Poi ci sono i pagani, i palini e i gesari, probabilmente derivante da Cesare. A barona, simintiaddri, paluviasci papacojja, miscimarra, ‘a stocca e ‘a marca. Cinniriaddri, ciarrune, gesimunnu, vriddrivoi, i cuaschi, e trancheddra. E ancora, i volantini e ri ricchitisi, i brei, i bricchi, i papicchi e ri papuni, i citari, i vuapu, i duardi i murani, i chiariaddri, i ciciazzi, i vruschi, i lucci e i ciccupeppe, i sassini, i pulisena e ri pezzavecchia.
‘A martareddra, forse derivante da Marta. I spatari ebbero probabilmente qualcosa a che fare con le spade. E i scarpari, soprannome per designare i calzolai e i chiuvari, ossia falegnami. I postini di un tempo venivano soprannominati pustiari. Mentre chi gestiva un mulino era, ovviamente, nu mulinaru. E non finiscono più. Nelle zone di San Mazzeo sono diffusi i cirasi, i mucciacci, e i tirisini. E ancora diani, rusarini, vei e pasqualiaddri. Sbardacani, cugnu e cugniattu. C’era poi u sceriffo: un signore innamorato del genere western tanto da dare ai propri figli nomi di personaggi dei film che amava.

Un esempio di soprannome derivante da un nome proprio è Giommarii, ‘appartenenti a Giammaria’. Un altro è tadora, con ogni probabilità dialettismo di Teodoro. Dal pronunciare in dialetto il cognome Bombino ne è derivato il soprannome Bummini. Mentre Riccardo era chiamato u napulitanu perché proveniente da un paesino campano. Molti sono i soprannomi derivanti da professioni, e di alcuni ve ne abbiamo già parlato. I lattari producevano e vendevano latte. I nivari conservano la neve. E con la stessa neve facevano delle coppette, da qui, infatti, l’altro soprannome coppariaddri. I quadarari, invece, riparavano quadare, grandi pentoloni. I fhurgiari erano fabbri. Poi abbiamo i paracauzi: persone così generose da donare persino i propri pantaloni a chi ne avesse bisogno. Cacavajane, invece, era una famiglia di gente molto loquace. Calestra sta a indicare un’altezza fuori dal normale. E una persona alta che passava molto tempo ferma in piedi veniva soprannominata, nu pilune, ossia un palo della luce. Specchie era l’epiteto dato a delle donne di estrema bellezza, un piacere per la vista. E vurpi erano, naturalmente, molto furbi. I girunni erano chiamati così perché amavano andare in giro per il mondo. I riganiaddri erano e sono così numerosi che si espandono come l’origano. Dietro a piddricchjia c’è, poi, tutta una storia: fratelli e sorelle, in tempi di carestia, litigavano per magiare e piddricchie ossia le bucce della soppressata.

Insomma, a Conflenti abbiamo un ampissimo ventaglio di soprannomi, noi ne abbiamo raccolto un bel po’ e forse qualcheduno di voi, leggendoli, si ritroverà in qualcuno di questi.

 

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